I “misoltini”

Un’altra attività tradizionale legata alla pesca era quella del trattamento del pesce tramite essiccazione, con la stesura al sole degli agoni per ottenere i cosiddetti misoltini. Tale sistema di conservazione, praticato fino agli anni Settanta del Novecento, prevedeva la stesa degli agoni ad essiccare su rastrelliere in legno, collocate sulla riva dell’isola. Gli agoni (Alosa fallax lacustris) sono pesci allungati e compatti della famiglia dei Cupeidi, di colore verde azzurro e violaceo sul dorso, con macchie bianco-argento sui fianchi. Essi, pescati in abbondanza nel Verbano, venivano appesi a graticci che venivano portati sulla riva al mattino e ritirati al tramonto, cosicché il pesce esposto al sole e all’aria non prendesse l’umidità della notte. In tale modo si favoriva la sua corretta essiccazione. Successivamente i misoltini, salati, venivano inscatolati e torchiati per farne uscire il grasso. Sembra che proprio questa tecnica possa essere all’origine del nome “misoltino”, messo sotto il tino. Secondo un’altra ipotesi il termine deriverebbe invece dalla parola dialettale “misolta”, col significato di “mucchio, grande quantità messa alla rinfusa”. Quale che sia l’origine del termine, i misoltini, salati, seccati, pressati e stoccati in barilotti di legno erano pronti per essere conservati parecchi mesi ed essere utilizzati sulla tavola soprattutto nei periodi invernali.

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